Fare politica: Carlo Petrini dialoga con Luciana Castellina
Nel quinto appuntamento dei “Dialoghi sulla Terra”, in preparazione a Terra Madre Salone del Gusto, Carlo Petrini si confronta con Luciana Castellina (da La Stampa).
LA POLITICA DEI GIOVANI È DIVERSA DALLA POLITICA DEL PARLAMENTO
Carlo Petrini Due giovincelli come noi sono stati invitati a intervenire al meeting Europeo dei Fridays for Future. Che cosa ne pensi di questi giovani tu, che partecipavi assiduamente ai Festival Mondiali della Gioventù? All’epoca il trait d’union era un’ideologia: l’opposizione al fascismo in tutte le sue possibili espressioni. Oggi, invece, ciò che unisce i Fridays è la crisi climatica, che non è un’ideologia, ma un dato di fatto incontrovertibile.
Luciana Castellina Innanzitutto vorrei riconoscere un grande merito a questo movimento che ha aiutato moltissimo a prendere un po’ di consapevolezza. La cosa più grave che sta infatti accadendo nel mondo è la totale sottovalutazione rispetto alle grandi crisi che stiamo vivendo. Limitiamoci anche solo alla questione ecologica: non importa che ci siano incendi, alluvioni o i dati della scienza che ci dimostrano che la crisi climatica è in atto e procede a passo spedito; continuiamo a vivere nel più totale disinteresse. Prendiamo ad esempio il dibattito politico attuale del nostro parlamento: non c’è nessuno che affronta con serietà queste questioni.
Inoltre, se continuiamo noncuranti ad alimentare il modello di sviluppo capitalistico attraverso la produzione di merci, con l’illusione di un’espansione progressiva dell’industrialismo e con esso del benessere della società, a breve ci troveremo a fare i conti con un disastro sociale terribile. Viviamo in un’epoca di totale sottovalutazione prima di tutto da parte della politica istituzionale e poi inevitabilmente a seguire anche della società. Tutto ciò mi preoccupa molto, perché se non procediamo speditamente a una rivoluzione radicale ed epocale nel modello di sviluppo, la nostra stessa sopravvivenza è messa a repentaglio. Con rivoluzione non intendo solo una redistribuzione delle risorse, ma un arresto nella produzione di merci individuali e superflue, e più investimenti in servizi collettivi: nella scuola, nella salute e nel favorire la transizione ecologica che è assolutamente vitale.
Un tempo c’era la possibilità di scegliere: i socialdemocratici andavano piano, i comunisti di fretta. Ora o si va subito e tutti insieme di fretta, oppure si andrà incontro a sconquassi sociali e ambientali violenti e catastrofici. La generazione di giovani d’oggi si trova di fronte a un colossale mutamento, e quando li si accusa di fare solo proteste sterili fine a sé stesse non ci si rende conto che in realtà loro stanno facendo politica, ma si tratta di una politica per forza di cose diversa da quella discussa in parlamento e con cui non si identificano.
LA TEMATICA ECOLOGICA E IL SILENZIO DELLA POLITICA PLANETARIA
Carlo Petrini Quello che più mi sconcerta in questo momento storico è il silenzio assordante della politica planetaria rispetto alla tematica ecologica. Sta avvenendo un disastro che non è più annunciato, bensì è in essere e vicino al punto di non ritorno. Questo dato di fatto dovrebbe far sorgere movimentazioni dal basso e una visione politica diversa. Dubito che possiamo pensare a un futuro senza la presa di posizione dei movimenti della società civile. Siccome la situazione è drammatica, dobbiamo uscire dall’alveo di una classe dirigente che parla e pensa solo alle elezioni. La politica vera è andare tra la gente e stringere alleanze per cambiare davvero la situazione. Da questo punto di vista agire per cambiare l’attuale sistema alimentare, che è il principale responsabile dello sconquasso ambientale (produzione di CO2, sfruttamento delle risorse naturali, perdita di biodiversità…), può essere il punto di partenza per promuovere il cambio di paradigma.
Se abbiamo la capacità di stimolare l’adozione di comportamenti virtuosi – riduzione del consumo di carne del 50%, eliminazione dello spreco alimentare, rinuncia a prodotti ricoperti da imballaggi plastici –, allora vedremo come gesti individuali apparentemente insignificanti, se adottati da milioni di individui, possono davvero cambiare la realtà delle cose. Per me questa è politica nel senso più ampio e alto del termine. È bene inoltre ribadire che noi siamo viventi perché mangiamo e perché ci sono milioni di persone che lavorano nel settore primario garantendoci cibo.
La società post moderna ha però creato un’immagine nostalgica di questo comparto, etichettandolo come l’economia dei poveri, la società rurale come cosa dell’altro secolo. Ecco allora che appena un paese ha un po’ di soldi li investe nel settore secondario e poi nel terziario per favorire il cosiddetto progresso. Già Pasolini però diceva che: «il giorno in cui il nostro paese perderà contadini e artigiani non avrà più storia». E mi permetto di aggiungere nemmeno futuro. Ridare dignità al sistema alimentare, riconciliarlo con l’ambiente affinché smetta di distruggerlo, e renderlo adatto ai giorni nostri è una priorità politica dirimente nella fase storica di transizione ecologica.
INVECE DI PRODURRE E COSTRUIRE, BISOGNA RIPARARE E AGGIUSTARE
Luciana Castellina Se vogliamo prendere davvero sul serio la transizione ecologica non possiamo non esigere anche il passaggio dal modello produttivo lineare, a quello circolare. Invece di produrre e costruire, bisogna riparare e aggiustare. Questo cambia nel profondo i mestieri. Solo per fare un esempio fra i tanti possibili, il metalmeccanico non potrà solo produrre frigoriferi, li dovrà anche aggiustare. C’è dunque necessità di una rivoluzione delle categorie occupazionali accompagnata dalla nascita di piccole cooperative di servizio. Di una educazione che fornisca le nuove competenze tecnologiche necessarie anche per “rammendare”.
Di nuove tecnologie ha bisogno anche l’agricoltura. Lo sviluppo tecnologico deve migliorare la vita dei contadini cui occorre garantire la connessione a internet, anche per metterli in condizione di godere ferie e riposo settimanale come tutti gli altri lavoratori. Mi spingo ancora un po’ più in là. Nella fase di transizione che stiamo vivendo sarebbe importante istituire un “salario di contadinanza”. Un sussidio che remuneri adeguatamente chi si impegna a lavorare la terra fornendo un servizio di vitale importanza all’intera umanità.
LA GIUSTIZIA È PER TUTTI OPPURE NON È GIUSTIZIA
Carlo Petrini Quello di cui parli è una vera e propria conversione che dovrà avvenire attraverso un recupero della manualità e dell’artigianato con l’ausilio delle nuove tecnologie. Penso sia dunque necessario prevedere il superamento della errata contrapposizione tra tradizione e innovazione, ma anche tra scala locale e globale. Questi elementi operano tra loro in modo dialettico e propositivo, esprimendo un modo diverso di agire. Ciò che Slow Food ha fatto in oltre tre decenni è stato proprio rivitalizzare tradizioni gastronomiche vincenti. Da elemento nostalgico e museale esse si sono trasformate in motivo di orgoglio e motore di sviluppo. Mentre la tensione positiva tra globale e locale è il segno distintivo della rete di Slow Food e Terra Madre. Grazie all’enorme moltitudine di piccole comunità che agiscono localmente il nostro movimento esprime la sua forza globale.
Luciana Castellina Sono convinta che ci sia un grande bisogno da parte del movimento ecologista, ma più in generale dell’attivismo a livello globale, di mettere i piedi sui territori e trasformare la denuncia e la protesta in richieste e azioni concrete. Perché è nella dimensione locale che si hanno risultati tangibili. E come giustamente dice Papa Francesco a condizione di conservare lo sguardo sull’altrove per non chiudersi in un gretto localismo di segno leghista. Da una parte questo significa riconoscere la diversità dei territori. E ribadire che chi può davvero cambiare lo stato delle cose sono coloro che vivono in una data realtà – un comune di Fiesole e uno del Sahel hanno esigenze e risorse completamente differenti.
Dall’altra affermare l’importanza di guardare anche sempre al contesto globale, perché in un mondo interconnesso la giustizia (climatica, sociale etc.), o è per tutti, oppure non è giustizia. A questo proposito una cosa mi spaventa sempre molto, e oggi con il conflitto tra Russia e Ucraina se ne torna a parlare: le iniziative per porre fine alla fame nel mondo che da quando sono iniziate negli anni Ottanta, hanno contribuito a distruggere le economie locali.
In nome della fame hanno cominciato a inviare in Africa o in Asia alimenti estranei alle loro abituali colture. Così hanno distrutto i piccoli produttori locali. Hanno spinto al suicido molti contadini, come denunciò subito, ormai decenni fa, Vandana Shiva, che perciò si dimise da funzionaria della Banca Mondiale, in segno di protesta contro la famosa Rivoluzione verde da questa lanciata. Il dono era infatti avvelenato: le sementi inviate dalle grandi multinazionali erano sterili e perciò occorreva ricomprarle ogni volta drammaticamente indebitandosi.
Certamente ci si deve preoccupare della fame nel mondo. Ma bisogna anche interrogarsi rispetto alle modalità di contrasto per non perpetuare forme di colonialismo dove il nord del mondo detta le regole e i tempi al sud. Questa è una prerogativa che deve abbracciare ogni aspetto delle nostre società con la partecipazione attiva e inflessibile delle persone. Serve la politica del popolo.