Facciamo chiarezza sul concetto di sovranità alimentare
Nelle ultime ore si fa un gran parlare di sovranità alimentare, da quando i due termini sono stati affiancati nel nuovo dicastero alla parola “agricoltura”. La cosa non mi può far che piacere perché la sovranità alimentare è alla base del lavoro di Slow Food da ormai trent’anni.
Per questo vorrei fare un po’ di chiarezza rispetto alla sua genesi e al significato profondo; si tratta di un concetto importante, essenziale per il futuro dell’umanità e che non deve essere confuso né con sovranismo e neppure con autarchia.
Innanzitutto è un’espressione che nasce ed evolve dall’esperienza e analisi critica di gruppi di contadini alla luce degli effetti provocati dai cambiamenti nelle politiche agricole durante l’ultimo ventennio del secolo scorso. Correva l’anno 1986 e il gotha della politica internazionale riunito a Ginevra decise, durante una seduta plenaria dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, di includere la produzione primaria all’interno dell’Accordo Generale sulle Tariffe Doganali e sul Commercio.
Da quel momento in poi anche le scelte in merito alla produzione e al commercio del cibo, l’ambiente, l’accesso alla terra e la cultura legata alla vita nei campi, sarebbero state assoggettate alle regole neoliberiste del mercato internazionale. Come controrisposta, a livello mondiale iniziarono a costituirsi movimenti di base del mondo contadino con l’obiettivo di difendere il vero valore del cibo non come bene da commerciare, ma come diritto umano da garantire e tutelare. Nato in seno alla società civile, questo concetto entra poi a far parte del vocabolario istituzionale internazionale nel 1996 quando alcune organizzazioni internazionali riunite alla Fao a Roma ne conferiscono una definizione esaustiva.
Il principio di autodeterminazione dei popoli
Il principio cardine è l’autodeterminazione dei popoli nella scelta delle proprie politiche agricole affinché siano in sintonia con il tessuto ecologico, economico e sociale e garantiscano l’accesso a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato. Negli anni il concetto di sovranità alimentare è stato testimoniato da milioni di contadini in tutti i continenti. L’organizzazione Via Campesina ne ha fatto la bandiera della sua lotta. La nostra stessa rete di Terra Madre, che si è riunita a Torino appena un mese fa, ne è espressione vivente: in difesa della biodiversità e della dignità dei popoli. Lo stato dell’Ecuador la sancisce all’interno della costituzione (Art. 281) come un’obbligazione dello Stato, e le Nazioni Unite la identificano come una precondizione necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo strategico “Fame zero” dell’Agenda 2030.
Che cosa vuol dire sostenere la sovranità alimentare?
Sostenere la sovranità alimentare significa schierarsi contro pratiche inique e dannose portate avanti dall’agroindustria (monocoltura, uso pesante della chimica di sintesi, cibi ultraprocessati), così come anche da una buona parte della grande distribuzione organizzata; ponendo invece al centro il diritto al cibo sano e nutriente per tutti, insieme ai diritti umani fondamentali, e la salute del pianeta. Vuol dire riconoscere il ruolo chiave dei piccoli produttori di ogni tipo, contadini e agricoltori a conduzione familiare, con donne (principali custodi della sovranità alimentare delle famiglie nel mondo) e giovani (da cui dipenderà l’alimentazione del futuro), in primo piano. È anche rivendicare l’importanza di pratiche agroecologiche, con una maggiore facilità di accesso a terra, acqua e semi; contro la monocoltura e le pratiche di tipo estrattivista. Così come affermare l’importanza di rafforzare i sistemi alimentari radicati nel territorio rispetto alle catene di approvvigionamento globali che si sono dimostrate in tutta la loro vulnerabilità, prima con il Covid-19 e poi con il conflitto in Ucraina.
Se applicata correttamente la sovranità alimentare crea una tensione positiva tra dimensione locale e globale e permette ai popoli di essere davvero liberi nella scelta di cosa produrre e consumare, mettendo al centro il benessere delle persone e del pianeta.
Aggiungo: è così importante e trasversale che non dovrebbe essere privilegio del ministero delle politiche agricole.
Dovrebbe fare parte, ad esempio del ministero dell’ambiente che gestisce le risorse naturali difendendo biodiversità e ecosistemi. Del ministero per le politiche sociali perché oggi la fame non è sinonimo di indisponibilità di cibo, ma mancanza di risorse per accedervi. Così come da quello della salute perché la cattiva alimentazione è causa crescente di gravi malattie quali diabete, problemi cardio-vascolari, obesità e tumori.
La sovranità alimentare quindi non vuole essere né un concetto nostalgico e passatista (il caffé di cicoria non tornerà a essere l’unico disponibile), e nemmeno una chiusura rispetto al mondo esterno (continueremo a mangiare banane e ananas). In questa fase è fondamentale capire i veri significati delle parole, altrimenti sarà ben difficile prendere in castagna coloro che scientemente potranno farne un uso diverso.
Carlo Petrini,
su La Stampa del 25 ottobre 2022