Ecologia digitale. Per una tecnologia al servizio di persone, società e ambiente. Lunedì 13 al Filo
Ultimo appuntamento primaverile della rassegna Camminare su un Filo di seta con la presentazione del libro “Ecologia digitale“: un’opera partecipata e a più voci, nata dalla volontà dell’editore Altreconomia, che spiega in che modo la rivoluzione digitale impatta su clima, ambiente, lavoratori e società. Un manifesto per il digitale sostenibile.
Ce ne parlerà Stefana Broadbent lunedì sera al teatro Filo, Professore Associato presso il Politecnico di Milano, già docente di Antropologia Digitale all’University College di Londra dove ha diretto il Master in Digital Anthropology, cofondatrice di Cleanweb una organizzazione per l’uso del web per sostenere la transizione ecologica.
La prefazione è di Gerry McGovern, considerato tra i “cinque visionari con un impatto fondamentale nello sviluppo del web”.
“Pensavo che il digitale fosse sempre la scelta migliore per l’ambiente. Ero convinto fosse decisamente meglio mandare un email che una lettera. Una lettera di carta emette circa 29 grammi di CO2. Un email ne produce circa 4 di grammi. Avendone la possibilità, dovremmo quindi inviare email. [Ma] ogni giorno mandiamo circa 400 miliardi di email di cui la grande maggioranza è spam. E questo è il problema che sta al cuore del digitale: si tratta del più grande motore di consumo estremo e di sovra-produzione mai inventato. […] Il problema è che gli esseri umani non sono in grado di gestire […] quella velocità. Con il digitale, ci troviamo intrappolati in un mondo di pensatori a breve termine che vendono ininterrottamente desideri superficiali. Non abbiamo bisogno di muoverci così velocemente. Non ci fa bene. Non fa sicuramente bene alla vita sulla Terra.”
Un libro che spiega in modo chiaro che il cloud non è tra le nuvole, ma in data center che consumano energia e producono CO2, denuncia la “monetizzazione” della nostra attenzione, racconta come i “dati” siano diventati il petrolio del nostro tempo e perché invece dovrebbero essere dei “beni comuni”, affronta il rapporto tra politica e web e il possibile ruolo della e-democracy, ribadisce – come diceva Stefano Rodotà – che è necessario un “Internet Bill of Rights”, permette di conoscere e praticare un “consumo critico” di tecnologia, di ribellarsi – senza essere hacker -, di progettare un web a basso impatto e di prevenire l’e-waste: per un mondo digitale pulito, aperto, rigenerativo.
Il libro perfetto per chi vuole davvero capire che cosa sta facendo quando manda una mail, guarda un video o usa i social.