Carlo Petrini: «La difesa del suolo è una questione politica»
Proposte di legge per frenare il consumo del suolo si susseguono dal 2011, ma puntualmente si arenano in uno dei due rami del Parlamento. Nel mentre, il tempo passa e a cadenza fissa assistiamo a nubifragi e disastri di cui il terreno depauperato è complice e che mettono in serio pericolo non solo la vita dei nostri concittadini, ma anche la salute e il futuro dei nostri figli. Il consumo di suolo – a beneficio in primo luogo di un’edilizia scellerata e non sempre necessaria – causa infatti il fenomeno dell’impermeabilizzazione del terreno che non riesce più ad assorbire l’acqua; le piogge perciò non riescono a penetrare nel suolo e da un lato allagano le città (in sette anni si è stimata una perdita di infiltrazione pari a circa 300 milioni di metri cubi di pioggia), dall’altro non vanno ad alimentare le falde, con il rischio di avere sempre meno acqua a disposizione, aumentano il dissesto idrogeologico e la pericolosità dei nostri territori.
L’ennesima prova che tutte le crisi che stiamo vivendo sono interconnesse, e che l’emergenza climatica è ancora più urgente poiché rende l’Italia sempre più vulnerabile ad eventi estremi che la terra, indebolita dal nostro operato dettato spesso da logiche speculative ed egoistiche, non è più capace di contenere.
L’Ispra ci dice che la Sicilia (abbiamo ancora nitide le immagini di qualche giorno fa di una Palermo allagata) è la regione che detiene la crescita in percentuale più alta di spreco di suolo nelle aree a pericolosità idraulica media, presentando lo stesso numero di edifici abitativi della Lombardia ospitando però la metà della sua popolazione (5 milioni contro 10). Tuttavia, più che un caso specifico, si può dire sia purtroppo un copione diffuso in tutta la penisola.
Questa continua rincorsa al consumo di suolo è infatti figlia di una mancata razionalizzazione ormai sistematica, dimostrata dal fatto che in Italia cresce più il cemento che la popolazione: dal rapporto emerge che nel 2019 sono nati 420 mila bambini e che quindi, considerando l’avanzamento di quasi 60km quadrati annuali – “è come se ogni neonato avesse portato nella sua culla ben 135 mq di cemento”, recita il rapporto.
Dati che dimostrano che non è ancora chiaro che la difesa del suolo, della sua fertilità e della sua stessa esistenza – intesa come radici delle nostre comunità – è una questione politica dirimente, proprio per la sua trasversalità e impatto su altri settori. Stando a dati raccolti in sette anni, infatti, sempre a causa del consumo del suolo si è persa per esempio la capacità di produrre 3,7 milioni di quintali di prodotti agricoli e 25.000 quintali di prodotti legnosi, per non parlare dell’occasione persa di stoccare 2 milioni di tonnellate di carbonio. Il danno economico potenziale relativo alla perdita dei servizi ecosistemici è invece pari a circa 3 miliardi di euro all’anno.
In Europa, per fortuna, qualcosa inizia a muoversi: oltre all’opportunità di transizione ecologica che offre il Green Deal, l’anno scorso il Commissario Europeo per la Ricerca, l’Innovazione e la Scienza ha istituito una Mission Board sulla Salute del Suolo. Questo comitato affianca la Commissione nell’individuazione di soluzioni concrete a favore delle aree marginali e delle produzioni di piccola scala custodi della sicurezza alimentare e della qualità del suolo.
La ripartenza a cui tutti aneliamo si trova infatti nella difesa del suolo inteso come bene comune, nella ricostruzione di sostanza organica, in un nuovo modello di agricoltura e di economia che non si basi più sull’estrazione ma sulla contribuzione.
Spero quindi in un investimento corretto dei fondi che abbiamo a disposizione, affinché siano di supporto a progetti rigenerativi, che razionalizzino l’uso delle risorse naturali e che siano a favore di una maggiore giustizia climatica e sociale. La terra non perdona.
Carlo Petrini
c.petrini@slowfood.it