Produrre cibo ai tempi dei cambiamenti climatici: dialogo con Teresa Gasperi
Abbiamo chiesto a Teresa Gasperi dell’azienda agricola Gasperi quali sono le difficoltà che sta incontrando e come sta cambiando il suo lavoro in campagna a causa dei cambiamenti climatici.
Coltivare oggi è sempre più difficile: a causa dei cambiamenti climatici stanno saltando i cicli stagionali naturali e chi lavora la terra si trova sempre più spesso a fare i conti con eventi imprevedibili, come le gelate tardive e improvvisi sbalzi termici (da imputare principalmente al surriscaldamento del pianeta), o con fenomeni estremi, come periodi prolungati di siccità alternati a bombe d’acqua.
Effettuare le programmazioni delle colture, un aspetto fondamentale del lavoro in agricoltura, diventa molto difficile e ancora più difficile, se non a volte del tutto impossibile, è difendere i raccolti.
Per chi fa un lavoro che dipende fortemente dai ritmi naturali immagino sia impossibile proteggersi da eventi estremi che sfuggono totalmente al nostro controllo. Quali sono a tuo avviso le ragioni principali e dove sarebbe necessario e più urgente intervenire?
Credo che il consumo indiscriminato di suolo, con una cementificazione eccessiva e non regolarizzata in luoghi spesso inadatti, abbia messo in difficoltà un territorio fortemente fragile come quello italiano. La cementificazione ha reso impermeabile un suolo che non è più in grado di trattenere l’acqua e la realizzazione di edifici su terreni non conformi ha peggiorato la situazione. Anche l’abbandono agricolo e residenziale degli appennini costituisce un problema perché il terreno non coltivato frana maggiormente, mentre l’abbandono dei boschi favorisce lo sradicamento di alberi che scendendo a valle ostruiscono il regolare corso dell’acqua.
Cosa si può fare per rimediare almeno in parte a questa situazione?
Per mitigare le gelate penso non ci sia altra soluzione, per quanto tardiva, che un taglio secco delle emissioni. Purtroppo sarà un problema con cui dovremo convivere a lungo.
Sul fronte acqua invece credo si potrebbe fare molto anche nell’immediato: a partire dalla pulizia dei bacini e dei fiumi, la cui capienza si è ridotta per la presenza di sedime sul fondale, da un aumento controllato del verde, dalla creazione di invasi medio-piccoli e multifunzionali in grado di trattenere le acque piovane (in modo da ridurre danni a persone e natura) da utilizzare nei momenti di siccità, e soprattutto dalla drastica diminuzione del consumo di suolo.
Oggi tutti gli occhi sono puntati, comprensibilmente, sulla Romagna. Anche Filiera Corta Solidale si sta organizzando per provare a dare una mano, nel suo piccolo.
Voi in Emilia “fortunatamente” non siete stati colpiti da eventi così catastrofici. Eppure come tutti siete chiamati a fare i conti con gli effetti, diciamo così, quotidiani dei cambiamenti climatici: quelli che non fanno notizia perché ormai rientrano in un quadro di “normalità”. Puoi raccontarci com’è andata quest’anno?
Il territorio modenese è stato messo a dura prova ad aprile con gelate che hanno provocato grossissimi danni, principalmente alle coltivazioni di albicocche, pesche e pere. Noi come azienda agricola lo scorso anno abbiamo investito in impianti antibrina e siamo riusciti a salvare buona parte della produzione, ma alcune aziende hanno perso fino all’80% del raccolto.
A metà maggio le forti e continue piogge hanno compromesso molte coltivazioni, come fragole (facendole marcire), piselli (facendoli marcire) e duroni (facendoli scoppiare) e diminuito le allegagioni di molte verdure (pomodori, peperoni, melanzane) in fioritura in quel periodo, riducendo drasticamente la produzione dei prossimi mesi.
In alcuni casi l’acqua è rimasta nei campi per giorni causando la morte per asfissia di alcune piante (meloni, pomodori da conserva).
A chi ancora si ostina a negare i cambiamenti climatici cosa ti sentiresti di dire?
Provate a venire a lavorare in campagna!